ti porto con me, o forse sei tu che ancora mi porti, in questo mio ennesimo viaggio. il primo, a conti fatti. mi sdraio a terra e mi faccio nave, stendo al sole le vele che da anni tengo ripiegate nella schiena — niente ali, no, grazie: al cielo non so aggrapparmi — e raccolgo le poche ancore che ho seminato in meno di ventisei anni, e chissà se han germogliato o se un domani ne nascerà qualcosa. la fretta avrà anche il mio nome ma nell’attesa so mettermi comoda. chissà se mi immaginavi così, mentre eri impegnata ad avere otto dieci quattordici anni, chissà se ti stai deludendo. questa chiara che scrive ti avrebbe voluta diversa, sì, anche a costo di divenire, essa stessa, differente. ci sono cose che non hai fatto e che ora le mancano, cose che se il passato fosse uno spettacolo di burattini ti imporrebbe di fare, con la giusta combinazione di fili e movimenti delle dita. avrei potuto leggere di più, piangere di meno, ed è solo un esempio tra i tanti. avresti potuto investire più energie sul confine tra i sentimenti, piuttosto che sulla loro intensità, sul bordo spigoloso delle emozioni, avresti potuto abbozzare una cartografia del tuo pianeta cubico, il tuo piccolo cuore di rubik che soffia e che sbuffa da quando sono bambina, e che mai come adesso è un indefinito hic sunt leones. l’adolescenza è un sentiero insidioso, avremmo almeno dovuto guardare dove mettevamo i piedi.
siamo nelle mie mani, adesso, e le mie mani hanno preso quel poco che resta di te e lo daranno in pasto al vento che sempre calpesta la danimarca, e dopo l’erosione eolica potrebbe non restare molto nemmeno di me, ma non è detto che la cosa mi dispiaccia poi tanto. la verità è che i miei occhi e i miei piedi hanno sempre fame, ma per entrare nello stomaco del mondo devo farmi io stessa boccone di carne, e lasciare che la vita mi ingoi. questo viaggio ci aggiungerà sale, prendila così, ti renderà un poco più nutriente. il bagaglio sarà, come sempre, eccessivo, ma conto di insegnarci come perdere peso lungo la traversata, e questa volta si farà a modo mio. non so dire cosa tu ti aspettassi da me, se preferissi gli arrivi alle partenze, le risposte alle domande, so solo che parte dei tuoi dubbi non ci appartengono più. ce ne sono altri, ovviamente, e mi somigliano tutti quanti. io preferisco le virgole, invece, le asimmetrie e il respiro pesante del mare, e se anche il battito accelera e la notte rallenta e si fa interminabile, di quando in quando, va bene così. le paure hanno le zanne più corte, di solito, e l’interruttore non è mai troppo distante.
mantengo una distanza di sicurezza da ogni cosa, ma ho capito che un fiore sul balcone e un sorriso sulle labbra alle volte invogliano a entrare. la sostanza è che faccio quello che posso meglio che posso, cercando di vivere coi polmoni gonfi di aria pulita e le vene gorgoglianti di sangue buono. non so che cosa avresti risposto tu, quel giorno. io ho cercato di far sorridere la voce e ho detto che se una cosa può essere peggiorata, quasi certamente la si può anche migliorare, e loro si sono fidati. pensa, sto cominciando a fidarmi pure io.
dovresti essere contenta, di questa laurea, è da quando avevi otto anni che aspetti questo momento. dovrei esserne felice anch’io, è vero. lo sono, sì. vedi, tante cose sono cambiate passate invecchiate con noi in questi anni, e ora come ora le mie soddisfazioni più grandi sono eruzioni cutanee sull’altro lato della pelle, da fuori non si vedono quasi. se avverti un leggero prurito dentro di te, ecco, quella sono io: non grattarmi via le croste, per favore, sono le ultime di questa grande fatica.
sto coprendo i tuoi passi coi miei, più lunghi e più grandi e profondi, e cancello man mano i tuoi ricordi vivendo altri pezzi di vita nei posti che da sempre ti appartengono. non me ne volere se ogni giorno moriamo e ogni giorno nasciamo di nuovo. alle volte si impara qualcosa.
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