È un po’ come guardare un film.
Starsene comodi in poltrona, vedendo passare, una a una, le immagini di una storia che conosci bene, ascoltando dialoghi che hai già sentito non so quante volte, ormai, e indovinando quale risposta risponderà a quale domanda.
Rivedersi.
Ma quanta distanza, tra noi, in quell’abbraccio. Cercavo di sentire il calore del tuo corpo eppure tra le braccia stringevo solo lontananza e distacco, un corpo che in pochissimo tempo ho imparato a non conoscere più. E imbarazzo, anche, l’imbarazzo di due persone che han costruito, un pezzetto alla volta, un’inconsapevole estraneità fatta su misura per colmare i loro vuoti abissali, e che all’improvviso se la trovano sbattuta in faccia.
Niente più che un banale trasloco, semplicemente prendere le mie, le tue cose, e portarle via dalla tua, dalla mia mente.
I momenti felici, le risate condivise, le ipoteche sul nostro futuro, tutto buttato dentro una valigia e portato via velocemente. Pigiato, spiegazzato, appallottolato.
Ho pagato l’ultimo affitto, posso sgombrare i tuoi sogni dalla mia goffa figura.
E tu, tu hai saldato tutti i tuoi debiti, e del resto è già un po’ di tempo che non abiti più nel mio cervello.
Il nostro futuro è tornato a essere il mio futuro, il tuo futuro.
Sento la tua mancanza? No, non la sento.
Del resto lo vedi anche tu, penso, quanto brillano i miei occhi, adesso, quanto son grandi, inattaccabili, i miei sorrisi.
Allora perché scrivo queste righe, vorrai sapere.
Non lo so con certezza, a dire il vero, ma credo che sia colpa della strana impressione che mi ha fatto non trovarti dentro al mio abbraccio.
Come quando porti via un quadro, e sul muro resta il segno più chiaro.
Come quando tagliano un albero, e ti sembra che al panorama poi manchi qualcosa.
Come quando, da bambina, mi cadeva un dentino, e faceva uno strano effetto sentire con la lingua quel posto vuoto.
Sarebbe cresciuto, lo sapevo bene, un altro dente, più sano e più robusto di quello appena caduto, ma non riuscivo proprio a smettere di importunare con la lingua quella gengiva nuda, sanguinante.
Prima di andare a dormire, lasciavo il dentino sotto un bicchiere capovolto, sul tavolo della cucina. Lo ritrovavo la mattina dopo, assieme a mille lire (che a me sembravano un capitale), gentile omaggio della fata dei dentini.
Mi sono accorta che sto sorridendo, nel ricordare queste cose.
Non verrà una fata dei dentini ad arricchirmi, questa notte, e se voglio coprire le macchie che hai lasciato sulla mia anima dovrò darmi da fare a ritinteggiare tutto quanto. Olio di gomito e vernice colorata.
Ma ricrescerà un altro albero e prenderà il tuo posto, e il panorama sarà splendido, ne sono certa.
Riempirò i miei abbracci con altre persone, e tu, mi auguro, lascerai che altri abbracci ti trovino.
Ho piena fiducia nel fatto che, da amici, sapremo volerci molto più bene.
E sapremo anche ritrovarci dentro ad un abbraccio, un giorno.
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